Stefano Rodotà è morto. Ma non ci lascia.

Le sue battaglie, le sue idee, il suo impegno, la sua capacità di lettura critica della società restano come patrimonio indistruttibile di chi pensa che “democrazia” non sia una parola vuota.

Ho avuto tante belle occasioni di incontro col “Professore” e ho sempre imparato qualcosa, che si parlasse di un’ipotesi di collana editoriale o della Costituzione. Lascio ad altri ricordi più profondi e/o politicamente più rilevanti. Io voglio solo ricordarlo con un episodio accademico, neanche troppo lontano. Il 1° ottobre del 2013, organizzammo alla LUISS un convegno sulla democrazia deliberativa e le nuove forme di partecipazione politica. Uno dei tanti convegni accademici ma con uno stile di confronto e dibattito non comune. Il “professore” arrivò con largo anticipo, prima di tutti. Ci sedemmo nella sala ancora vuota e parlammo a lungo. Quel colloquio lo serbo nel cuore. Parlammo di politica, di Roma, dell’Università. Fu un colloquio, però, essenzialmente privato e tale resterà. Resta soprattutto un ricordo indelebile.

Durante tutto il convegno, “il professore” prese appunti, osservò, rimanendo sempre attentissimo. Lo stile dell’ascolto. Per quasi cinque ore ascoltò tutti con rispetto e attenzione. Alla fine, le sue sintesi – capaci di cogliere gli aspetti più signficativi di ogni intervento – fecero apparire i nostri contributi importanti e utili. E li arricchì di nuovi significati e nuov e prospettive di ricerca, come solo lui sapeva fare. “Un gigante”, commentarono alcuni colleghi.

Un vero, straordinario professore. Lo so che è stato anche altro, tanto altro. Ma a me piace ricordarlo anche come un grande esempio accademico.

Stefano Rodotà non c’è più. La sua grande lezione – accademica, civile, politica, umana – resta intatta e non ci lascia.